“Il matrimonio che vorrei” di David Frankel (2012)

Dopo trent’anni di matrimonio, l’intimità e la complicità tra Kay (Meryl Streep) e Arnold (tommy L. Jones) sembrano essere venute definitivamente meno. Accumunati unicamente dall’abitare sotto lo stesso tetto, in stanze separate, vivono una routine quotidiana monotona e ripetitiva.

Arnold in apparenza sembra essersi adattato a questa situazione che tenta di normalizzare quale naturale evoluzione di un lungo matrimonio, mentre Kay, frustrata e schiacciata dal peso della solitudine, non volendosi rassegnare, propone al partner l’inizio di una psicoterapia di coppia.

Nonostante il film corra il rischio di veicolare il pericoloso ed illusorio messaggio che sia sufficiente una settimana di psicoterapia per risolvere conflitti e tensioni di coppia accumulatosi nell’arco di un’intera vita, la pellicola, dai toni leggeri e dal finale forse eccessivamente ottimista, offre tuttavia alcuni preziosi spunti, mostrando come la riscoperta del piacere e dell’attrazione tra i partner transiti attraverso la faticosa rottura di schemi consolidati, la ricerca di nuovi equilibri a cui la coppia è chiamata a seguito dell’uscita dei figli, ormai adulti, dal nucleo familiare, la messa in discussione di inibizioni personali e la condivisione di credenze relegate in un’area segreta poiché ritenute offensive o pericolose.