“Little fires everywhere” di Liz Tigelaar (2020)

Miniserie televisiva di 8 puntate, ispirata all’acclamato romanzo di Celeste Ng “Tanti piccoli fuochi”, mette in scena lo scontro tra due realtà familiari, diametralmente contrapposte, sullo sfondo dell’America dei primi anni ’90.

La quieta ed apparentemente idilliaca cittadina di Shaker Heights (Cleveland, Ohio), dove abitano famiglie della media borghesia, viene turbata dall’arrivo di Mia Warren, artista afroamericana e madre single. Elena Richardson, moglie e madre di 4 figli, figura portante della piccola collettività, si fa immediatamente carico del processo di integrazione di Mia e della figlia Pearl nella piccola cittadina, affittando loro un appartamento e proponendo a Mia un lavoro da domestica presso la propria abitazione.

L’iniziale discreto equilibrio si infrange quando una vicenda legale che coinvolge la migliore amica di Elena, in causa per l’ottenimento della custodia di un bambino cinoamericano contro la madre naturale, pentita di averlo abbandonato, diviene di dominio collettivo. L’opinione pubblica di Shaker Height si frammenta, nel dibattito,  in fazioni contrapposte, l’una capeggiata da Elena e dal marito, l’altra da Mia. L’interesse di quest’ultima nella vicenda, porterà alla luce sconcertanti scheletri nell’armadio.

Nella serie vengono affrontati tematiche che spaziano dalla discriminazioni razziale ed i pregiudizi di genere alla giustizia sociale. Nel corso degli episodi, allo spettatore sarà progressivamente chiaro come le contrapposte personalità di Elena e Mia, e le differenti tipologie di maternità che incarnano, rappresentino esiti diversi di un terreno comune. Nella storia di vita di entrambe, le pressioni genitoriali e la cura maniacale per l’apparire hanno prodotto effetti opposti: Elena vi si è uniformata, e, non senza soffrirne, riproduce con i figli il medesimo modello educativo, mentre Mia, costretta ad abbandonare la propria casa d’origine, è divenuta errante, senza fissa dimora né solide appartenenze.