“Niente” di Jane Teller (2000)

Nelle prime pagine di questo breve, ma intenso, romanzo, assistiamo alla scelta radicale di Pierre Anthon, tredicenne danese che, convinto la vita sia priva di significato e dunque sostanzialmente inutile, come un moderno Barone Rampante, vi rinuncia, rifugiandosi su un albero.

Dall’alto del proprio ramo, al pari di un filosofo nichilista, denuncia a gran voce l’ipocrisia e la vacuità dell’esistenza, tra l’indifferenza degli adulti e lo stupore dei coetanei. Per questi ultimi la scelta di Pierre è perturbante, in quanto tale diserzione risuona con le angosce depressive connesse alla transizione dall’età infantile a quella adulta, di cui ciascuno è inconsapevolmente portatore.

Nel tentativo di persuadere il compagno ad un ‘ritorno alla vita’, decidono di raccogliere in un luogo segreto le testimonianze di tutto ciò che per loro ha valore. La costruzione di una ‘catasta di significato’, alla quale cedere oggetti ai quali sono affezionati, iniziata come un gioco, evolve presto in un’escalation macabra. Dall’iniziale cessione di sandali e biciclette, si assiste al passaggio alla profanazione di tombe, alla perdita della verginità, all’uccisione di animali domestici, in un climax crescente mosso dal bisogno di imporre prove sempre più dolorose per vendicarsi di ciò che ciascuno è stato chiamato dal gruppo a perdere.

‘Niente’ è un romanzo che offre importanti spunti per la comprensione del mondo interiore e delle dinamiche di gruppo in preadolescenza, illuminando su come, in assenza di punti di riferimento adulti credibili, il tentativo di dare senso alla vita spesso coincida con la dissipazione della stessa, in un momento della crescita in cui i ragazzi son chiamati ad elaborare il lutto del proprio mondo e della propria identità infantile, confusi su ciò che il futuro gli riserva. 

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