In materia di sessualità oggi noi, uno per uno, siamo, malati o sani, nient’altro che degli ipocriti. Sarebbe un bene per tutti noi se, come risultato di tale onestà generale, venisse raggiunto un certo grado di tolleranza nelle cose sessuali.
S. Freud
Ho avuto l’onore di conoscere e seguire qualche persona che mi ha chiesto di accompagnarlo nel suo percorso per la transizione con la diagnosi di disforia di genere. E sono entrata in punta di piedi, in una realtà che mi ha fatto conoscere cose nuove, fatto emozionare ed arrabbiare, combattere ed esporre bandiera bianca contro la mia determinazione, fuggire per andare.
E quindi ho deciso di approfondire e di poter ampliare il mio servizio a persone nuove, che spero avrò il piacere di conoscere. Ecco quindi, perché Io ho deciso di creare questo progetto all’interno del mio studio e di coinvolgere i miei collaboratori in questa ennesima sfida.
La tematica della disforia di genere è un argomento che riguarda una sfera di elevata sofferenza individuale, di estremo movimento sociale ed educativo e di non facile movimentazione sociale-morale-religiosa ed etica.
La disforia di genere si inserisce in un contesto di concetti simili e diversi, da non confondere, che vado qui sotto a definire:
identità di genere: vissuto personale di esistere, di auto-identificarsi come appartenente al genere femminile o maschile; si basa su caratteristiche psicologiche che in una cultura di appartenenza vengono incoraggiate o indirizzate in un senso o in un altro. La capacità di conformarsi a queste caratteristiche, attribuite a partire dagli elementi biologici, rende gli individui chiaramente femminili o mascolini;
identità sessuale: sesso biologico che si riferisce alla femminilità o alla mascolinità di una persona ed è determinato da cinque fattori biologici (cromosomi sessuali XX o XY, presenza di gonadi maschili o femminili, componente ormonale, strutture riproduttive accessorie interne, organi sessuali esterni);
ruolo di genere: modalità con cui attraverso comportamenti verbali e non verbali si esprime a sé stessi e agli altri il genere, femminile e maschile, cui si sente di appartenere. In base alle norme culturali, ci si aspetta infatti che gli individui si comportino in maniera socialmente conforme al loro sesso biologico;
orientamento sessuale: attrazione fisica ed affettiva per una persona per una persona di sesso diverso (eterosessualità), persone dello stesso sesso (omosessualità) o entrambi (bisessualità);
transessualità (gergalmente): individui che hanno il profondo sentimento di appartenere all’altro sesso, sebbene la loro conformazione fisica non presenti ambiguità; è fondamentale sia una sorta di auto-diagnosi, di auto-percezione.
La disforia di genere NON è considerata una patologia (evoluzione del concetto nei decenni), ma il concetto ha subito un’evoluzione e ad oggi è considerata semplicemente una situazione identitaria (DSM-IV-TR (APA 2000): Disturbo dell’Identità di Genere > DSM-V (APA 2013): Disforia di Genere, capitolo separato da quello delle parafilie e delle disfunzioni sessuali / ICD 10 (OMS 1993): Transessualismo, codificato tra i codici relativi ai disturbi mentali > ICD 11 (OMS 2018): Incongruenza di genere, codificato tra i codici relativi alle condizioni legate alla salute sessuale)
La disforia di genere nel DSM V (APA 2013) viene differenziata tra comparsa nell’infanzia e in adolescenza o età adulta.
A. Marcata incongruenza tra genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato, della durata di almeno 6 mesi, che si manifesta attraverso almeno sei dei seguenti criteri (di cui uno deve essere A1):
B. La condizione è associata a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, scolastico o in altre aree importanti.
Specificare se: Con disturbo dello sviluppo sessuale (es. disturbo adrenogenitale congenito come iperplasia surrenale congenita, oppure sdr. da insensibilità agli androgeni)
A. Una marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato, della durata di almeno 6 mesi, che si manifesta attraverso almeno due dei seguenti criteri:
Una forte convinzione di avere i sentimenti e le reazioni tipici del genere opposto (o di un genere alternativo diverso dal genere assegnato)
B. La condizione è associata a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
Specificare se:
Con disturbo dello sviluppo sessuale (es. disturbo adrenogenitale congenito come iperplasia surrenale congenita, oppure sdr. da insensibilità agli androgeni)
Specificare se:
Post-transizione: L’individuo è passato a vivere a tempo pieno il genere desiderato (con o senza riconoscimento legale) e si è sottoposto o sta per sottoporsi ad almeno una procedura medica di riassegnazione sessuale o a un protocollo di trattamento.
I sintomi caratteristici della disforia di genere, che causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti, predominano ma non soddisfano pienamente i criteri per la disforia di genere. Questa categoria diagnostica è utilizzata quando il clinico sceglie di comunicare la ragione specifica per cui la manifestazione non soddisfa i criteri per la disforia di genere (esempio durata inferiore a 6 mesi).
I sintomi caratteristici della disforia di genere, che causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti, predominano ma non soddisfano pienamente i criteri per la disforia di genere. Questa categoria diagnostica è utilizzata quando il clinico sceglie di non specificare la ragione per cui i criteri per la disforia di genere non sono soddisfatti e comprende le manifestazioni in cui ci sono informazioni insufficienti per porre una diagnosi specifica.
Come tutte le classificazioni, ci si trova di fronte ad una necessità di inquadramento ma anche ad una fatica di non rendere troppo rigido il metodo di pensiero. Non scordiamocelo.
Alcuni esperti (Zuckley e Bradley – 1995) si focalizzavano sul fatto dell’importanza della diagnosi differenziale con fenomeni ascrivibili alla normale sperimentazione dei bambini o degli adolescenti, alla costanza nel tempo, ad emozioni di “normale” inadeguatezza vs situazioni alteranti fortemente il funzionamento dell’individuo. Altre situazioni di diagnostica differenziale la meritano l’omosessualità, disturbi da dismorfismo corporeo, il disturbo da travestimento e con situazioni mediche specifiche (sindromiche o ormonali).
La persona con disforia di genere sente la convinzione precoce, permanente ed irreversibile di appartenere al sesso opposto, nonostante un assetto cromosomico, ormonale, e somatico “normale”; prova sentimenti di disagio, inadeguatezza, senso di estraneità e talvolta disgusto per i suoi genitali primari e secondari. Vive nella condizione e nella percezione soggettiva non criticabile che il suo sesso biologico sia sbagliato, che la natura si sia presa gioco del proprio destino, e che la sua anima sia imprigionata in un corpo errato (Petruccelli, 2014). Il periodo di maggior fioritura del disagio è sicuramente la pubertà ed è il periodo in cui spesso iniziano le problematiche che portano o all’osservazione diretta della sofferenza e della “diagnosi” di disforia di genere o iniziano le peregrinazioni con accesso a cure psichiche o psichiatriche che spostano il focus ma che non riescono ad inquadrare mai appieno il disagio vero.
Oltre che l’osservazione delle caratteristiche “cliniche” e del vissuto, vi sono degli strumenti testistici che aiutano l’osservazione dello specialista.
In età infantile si tratta della Gender Identity Interview for Children (Zucker et al., 1993) ed il Gender Identity Questionnaire for Children (Johnson et al, 2004).
E’ stato costruito uno strumento per l’assesment dell’identità di genere in adolescenza in adolescenza o età adulta (Deogracias et al, 2007) di 27 items.
Doverosa all’esordio diagnostico la differenzialità (e quindi accertamenti) con condizioni mediche (genetiche e mediche).
In tale situazione vi è un aumentato rischio di disturbi dell’umore (depressione maggiore ad episodi ricorrenti), disturbi d’ansia con comportamenti di evitamento, disturbi d’abuso di sostanze, disturbi della personalità, comportamenti autolesivi, atteggiamenti suicidari.
Tale comorbidità è strettamente correlata con la presenza (fattore protettivo) o l’assenza (fattore di rischio) di: sostegno del nucleo familiare, supporto socio-relazionale, lavoro, sostegno economico, equipe coerente di trattamento (multidisciplinare), presa in carico precoce, contesto culturale stigmatizzante o accogliente.
Il transito in Italia è sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria, mentre in altri ordinamenti europei, come quello spagnolo, la supervisione del procedimento è affidata all’autorità amministrativa.
L’ordinamento italiano è stato uno dei primi a fornire una disciplina del procedimento di rettificazione del sesso mediante l’introduzione della Legge 14 aprile 1982, n. 164, che riconosce alla persona transessuale di ottenere la modifica del sesso attribuito alla nascita e riportato nei registri anagrafici.
Sotto la vigenza di tale originaria normativa, la modifica dell’attribuzione sessuale implicava due diversi procedimenti: uno, di natura contenziosa, per ottenere l’autorizzazione agli interventi medico – chirurgici, e l’altro, di volontaria giurisdizione, per la richiesta di rettificazione dei documenti d’identità. Entrambi i giudizi dovevano essere instaurati mediante ricorso e si svolgevano con le modalità del procedimento camerale. La decisione veniva assunta dal tribunale in composizione collegiale con l’emanazione di una sentenza.
La Legge 164/1982 è stata modificata dal D. Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, in forza del quale il soggetto intenzionato a sottoporsi al trattamento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali dovrà instaurare, per il tramite del proprio legale di fiducia ed innanzi al tribunale del luogo di residenza, una causa ordinaria volta ad ottenere l’autorizzazione all’intervento. L’atto di citazione dovrà essere notificato al Pubblico Ministero e agli eventuali figli e coniuge dell’attore.
Una volta accertato l’avvenuto trattamento medico – chirurgico per la riconversione del sesso, il tribunale adito disporrà il cambiamento di stato anagrafico, in forza del quale i documenti d’identità verranno modificati per sesso e nome.
La prassi instauratasi nei tribunali a seguito della riforma apportata dal D.Lgs. 150/2011 ha conservato l’originaria impostazione che prevedeva lo sdoppiamento del giudizio di rettificazione di attribuzione di sesso, non avendo tuttavia chiarito se si debbano instaurare due giudizi contenziosi ovvero un giudizio contenzioso per l’autorizzazione agli interventi ed uno di volontaria giurisdizione per la rettifica degli atti di stato civile.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 15138/2015) ha dichiarato, solamente nel 2015, la non indispensabilità del trattamento chirurgico di demolizione degli organi sessuali ai fini della pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso.
Si è invero chiarito che l’interesse pubblico alla definizione dei generi non può implicare il sacrificio dell’interessato alla propria integrità psicofisica e hanno rimesso al tribunale il compito di verificare se, prescindendo dall’intervento chirurgico, l’interessato abbia già definitivamente assunto un’identità di genere.
Nello stesso anno, inoltre, la Corte Costituzionale ha ribadito anch’essa (sentenza n. 221/2015) la centralità del ruolo del giudice nel valutare l’opportunità dell’intervento chirurgico, fermo restando che il medesimo non deve considerarsi quale prerequisito della rettificazione dei documenti d’identità, ma come mezzo per la tutela del diritto alla salute dell’attore.
L’intervento di demolizione degli organi sessuali dovrà quindi essere autorizzato dal giudice solo quando in corso di causa sia provato che il benessere psicofisico del soggetto transessuale sia compromesso dalla divergenza tra il suo sesso anatomico e la sua psico-sessualità.
Si suddivide in un trattamento di tipo ormonale suddiviso in due fasi (la demolizione delle caratteristiche sessuali di origine e l’induzione di quelle del sesso di riferimento) ed in un trattamento di tipo chirurgico, il cui iter è caratterizzato da numerosi steps (che si possono effettuare alcuni separatamente altri insieme).
La componente ormonale non è mai del tutto completa, per quanto si possa ottenere degli ottimi risultati, è bene essere chiari da un punto di vista di risultato e di aspettative con le persone che richiedono il percorso.
Danno miglior prognosi nel caso di pazienti F>M piuttosto che M>F.
Nel trattamento di tipo chirurgico, il passaggio andro-ginoide, la percentuale di soddisfazione e di successo degli interventi è di circa l’80%, mentre nel passaggio gino-androide è più alta, intorno al 90-92%.
La soddisfazione soggettiva degli interventi chirurgici ha sostanzialmente tre finalità: la prima funzionale (che gli apparati abbiano le corrette funzioni ed eseguano i corretti compiti), la seconda sensitiva (che si possa avere sensazioni neurologiche – tattili – percettive – etc), la terza estetica e di valore identificativo.
Appare migliore nella transizione F>M, lievemente inferiore nella transizione M>F
Un passaggio di fondamentale importanza è il “real life test”: risulta essere un periodo di circa un anno (dopo il trattamento ormonale e prima dell’iter chirurgico) dove il soggetto si mostrerà al resto del mondo così come si sente veramente e dove potrà verificare non solo le inferenze familiari, sociali, lavorative, relazionali ed affettive ma anche il proprio vissuto “incarnando” l’identità da tanto desiderata ed i propri vissuti. Il vero scopo di questo periodo di ulteriore transizione sia di confermare o meno a se stesso il desiderio di ricorrere alla riattribuzione chirurgica del sesso.
Fase iniziale: supporto psicologico e psicoterapico della persona (adolescente – giovane adulto – adulto) che sente di dovere intraprendere un cambio di identità di genere. Tale fase non ha solo una caratteristica diagnostica (disforia di genere o no), ma anche di analisi psichica di ciò che vi è nel vissuto intra-psichico della persona.
La diagnosi di disforia di genere per accedere al percorso di transizione deve essere fatta da uno specialista psichiatra. È una fase importante anche per inquadrare l’equipe multidisciplinare (psichiatra, psicoterapeuta o psicoterapeuti, sessuologo o consulente sessuale, endocrinologo, equipe chirurgica, urologo, ginecologo, medico internista, avvocato) che prenderà in carico la situazione e che accompagnerà la persona in ogni fase del percorso.
È il momento più idoneo per comprendere quale sia la situazione familiare (appoggio od ostacolo), la rete relazionale ed affettiva, la realtà sociale e culturale di inserimento della persona, l’attività scolastica o lavorativa, quindi tutti quei contesti che possono essere di estremo appoggio e sostegno in un percorso che si presenta comunque faticoso e doloroso (sia in termini psichici, che fisici, che socio-culturali), o di aumento della fatica e del dolore stesso.
In questo senso, ritengo fondamentale l’aggancio, ove possibile, dei familiari più stretti per accompagnarli ed aiutare ad accompagnare la persona fin dall’inizio. Questo può valere sia in termini psico-educazionali, ma anche in termini psicologici e psicoterapici (con una psicoterapia individuale o familiare o entrambe).
Ultimo, ma non meno importante, il fatto che in questa fase può essere necessario, per il percorso giuridico che dovrà partire di pari passo a quello medico se si vuole il cambio di identità, l’appoggio di un CTP (consulente tecnico di parte) se il Tribunale ha predisposto la necessità di una CTU (consulenza tecnica di’ufficio) atta a validare la congruità del percorso diagnostico e di cura.
Fase del trattamento: avvenuta la diagnosi e partito il percorso l’accompagnamento non solo nei vari passaggi dell’iter di transizione, ma anche nel supporto alla comprensione e ai cambiamenti psichici, di ruolo, di confronto, di re-inserimento nella vita, sono secondo chi scrive un ausilio sine qua non non sarebbe possibile avere la possibilità si procedere in un percorso difficile, lungo e faticoso. Si possono utilizzare diversi strumenti: psicoterapia individuale, gruppi terapeutici, gruppi si auto-aiuto, confronto con i pari; tutto questo, quando possibile, di pari passo con la presa in carico dei familiari o di chiunque sia coinvolto più o meno direttamente nel percorso e nel cammino della persona transiente. E’ un momento che può durare anche molto tempo e che è caratterizzato da fasi diversificate a seconda dei momenti, degli interventi medici o chirurgici, delle decisioni di vita, dei successi e degli insuccessi.
Fase post-trattamento medico/chirurgico: è un mantenimento di un percorso o l’inizio di un nuovo percorso con molteplici strumenti psicologici, che porta l’ingresso di una nuova identità nel mondo con l’obiettivo di re-inserirsi e di trovare un proprio nuovo equilibrio.
Si tratta anche di convivere con gli esiti e le “conseguenze” alcune positive, altre difficili da collocare, alcune dolorose, altre negative, di tutto il percorso – legislativo, sociale, medico, ormonale, chirurgico – e di trovare il proprio unico e buono modo di vivere.
Pur essendo un ambito nuovo e di non facile collocazione medica, psichica, etica, sociale, affettiva, relazionale e chissà quanto altro, l’esperienza di chi scrive (pur scarsa) ricorda che vi è un minimo comune denominatore in chi decide di intraprendere un percorso di transizione (a qualsiasi livello esso arrivi): ed è la sofferenza di essere qualcosa che non si è e la ricerca di qualcosa che si SPERA di essere. In questo viaggio la cosa che rende inermi e meravigliati positivamente, è il coraggio di prendere delle scelte (alcune irreversibili) senza una sicurezza di ciò che ci sarà. Se mi devo far operare per una malattia, passo da una condizione non desiderata (malattia) a qualcosa di desiderato (non malattia) ma noto (so che cosa significhi ESSERE sano). Ma per gli eroi e le eroine che intraprendono questo percorso non vi è il privilegio della conoscenza.
Solo L’Odisseo del XXVI canto dell’Inferno della Commedia, mi ricorda un tale coraggio ed un tale desiderio di trovare sé stessi da sfidare un ignoto più grande di ognuno di noi, con pericoli, paure, ostacoli e persone pronti in ogni momento nel metterci alla prova.
Quindi penso che prima di “schierarsi” in un giudizio, vada visto il coraggio, prima di scandire diagnosi, vada sentita la loro voce e la loro sofferenza, prima di rifiutare, vada immaginata la sofferenza di sentire di essere estranei a se stessi, prima di allontanare, vada passata una giornata intera con qualcuno che non ha via da fuga da se stessi.
Non ci è dato sapere perché esista un disagio così profondo e radicato, che va ad intaccare un’identità naturale. Ma mi è dato sapere che nessuno meriterebbe di vivere una vita in un’identità che non sia la propria.
Un grazie ai miei pazienti che mi hanno insegnato cosa sia il coraggio e la forza, sono i miei eroi e le mie eroine. Io non sono coraggiosa a tal livello e umilmente li guardo e li ammiro. Grazie.
Dott.ssa Mariafrancesca Azzi