Daniele ha vent’anni quando, a seguito dell’ennesima violenta esplosione di collera, gli viene imposto un trattamento sanitario obbligatorio. Da principio non riesce a sopportare l’idea di dover trascorrere una settimana in un luogo che sente essere una “gabbia” popolata da uomini che percepisce pericolosi e oramai perduti, dai quali si sente diverso. Nel corso dei giorni, toccato dal dolore dei compagni, scoprirà i valori terapeutici della condivisione della sofferenza e dell’universalità della fragilità umana. Questo romanzo, scritto in eloquente dialetto romano, apre riflessioni toccanti sul senso della salute e della malattia mentale, sul ruolo della cura e dei suoi protagonisti, infrangendo pregiudizi quali la netta demarcazione tra sanità e follia. Immergendosi nelle pagine di un libro che trasuda umanità, è possibile toccare con mano l’agonia di chi cerca disperatamente un senso alla propria incomprensibile sofferenza; un significato sempre singolare e mai riducibile ad un’etichetta diagnostica. Un libro che aiuta a “perdonare e perdonarsi”, come tenta di fare Daniele che, schiacciato dal senso di colpa nei confronti dei familiari, cerca salvezza nel potere della condivisione del proprio vissuto, nella possibilità di dar voce ai propri abissi emotivi, nella speranza possano essere accolti.

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