
Amori che fanno male
Ho migliaia di suoi ritratti, me ne ha fatti migliaia.
Ma nessuno è Dora Maar.
Sono tutti Picasso.
– Dora Maar
Se il nome di Pablo Picasso, famoso nel mondo, non ha bisogno di presentazioni…quello di Dora Maar (all’anagrafe Henriette Theodora Markovitch) è sconosciuto alla maggior parte delle persone, salvo fatto per una minoranza che la ricorderà per lo più come amante e musa del grande artista, che nel corso di quasi dieci anni di relazione la ritrasse innumerevoli volte. Eppure, Dora è stata molto di più: una donna affascinante, passionale, artista e soprattutto fotografa, nonché modella e attivista sociale e politica. Almeno fino a quando conobbe Picasso e se ne innamorò, instaurando con lui una relazione che ai giorni nostri sarebbe definita “tossica“, un “amore malato” in cui, a poco a poco, dalla donna descritta poco sopra finì per diventare “La donna che piange” del famoso quadro, sminuita e screditata proprio da colui che amava.
Una storia molto attuale quella di Dora Maar, che nell’immaginario collettivo richiama facilmente anche a questa ripartizione di ruoli, maschile e femminile – carnefice e vittima, talvolta scivolando negli stereotipi di genere e perdendosi in facili riduzionismi e diagnosi legate al senso comune più che al pensiero clinico scientifico, diagnosticando con leggerezza – ad esempio – figure maschili narcisiste ogniqualvolta si presti ascolto a donne con vissuti riconducibili a quella nota come dipendenza affettiva.
Sebbene alcuni “meccanismi” siano comuni e riconoscibili e possa talvolta essere utile ricorrere ad etichette diagnostiche, è bene ricordare che le sfumature dell’essere umano sono moltissime e che le cose si complicano maggiormente quando tali sfumature individuali s’intrecciano nelle dinamiche relazionali. Questo vale a 360°: “tossico” può essere non solo un amore romantico, ma anche un’amicizia, una relazione di lavoro, un qualsivoglia rapporto famigliare. Ed è sempre una dinamica a due, in cui si viene a creare un equilibrio (seppur disfunzionale) che tende a mantenersi in quanto entrambe le parti contribuiscono in qualche modo ad alimentare quei meccanismi che bloccano la relazione ed in cui ci si “incastra”. Per questo, spesso, è difficile uscirne. Per questo, inoltre, non sempre è utile parlare in termine di “vittima – carnefice”, dialettica che può contribuire nel tempo a fissare la “vittima” in quel ruolo, relegandola nella passività, nello stato di “chi subisce” e privandola ulteriormente – in termini simbolici – della possibilità di svincolarsi.
Prendere consapevolezza di essere in una relazione “tossica”, di qualsiasi tipo essa sia (e magari non per la prima volta) può divenire una preziosa occasione di crescita. Occorre coraggio, certo. Ne occorre spesso tantissimo. Ammettere di essere stati vulnerabili, correre in rischio di guardarsi dentro, di ascoltare i propri bisogni recuperando autostima e autonomia, nonché ridefinendo il proprio concetto di amore … non è sempre semplice né scontato. Ma è possibile.
Amare bene non è semplice,
ma costruire una relazione sana e soddisfacente è possibile e realistico.
Ci vuole l’impegno e la volontà di scegliersi ogni giorno, per quelli che si è,
nel rispetto reciproco delle proprie individualità.
E poi non deve mancare l’entusiasmo, il desiderio e l’onestà
per costruire un rapporto che ci renda appagati e sicuri emotivamente.
– Paolo Crepet
Nel link in calce, un breve e semplice articolo di approfondimento sul tema dal titolo “Gli amori inquinati”, che aiuta a capire meglio – anche attraverso l’uso di esempi – alcuni meccanismi frequenti che si possono riscontrare in questo tipo di relazioni.
Link: https://www.psicologiacontemporanea.it/blog/gli-amori-inquinati/