Imparare a riconnettersi


Gli esseri umani possono essere molto differenti tra loro, 

ma nel nostro cuore, tutti noi vogliamo la stessa cosa: 

un partner amorevole che ci dia conforto e connessione (emotiva), 

in modo che le gioie della vita possano essere conservate 

e le ferite possano essere tollerate, così che noi sopravviviamo ad esse. 

Noi siamo programmati per la connessione. 

Niente è più tossico, dannoso per noi che l’isolamento emotivo”

– Sue Johnson

Dobbiamo ammetterlo: quando sentiamo usare il termine “dipendenza“, l’immaginazione ci porta a connetterlo immediatamente a contesti problematici, di sofferenza e difficoltà, quando non addirittura patologici. Questo succede spesso anche quando la “dipendenza” è associata a tematiche relazionali, in particolare quelle affettive a carattere romantico. 

A questo proposito, la cultura in cui siamo inseriti alimenta e veicola altresì l’idea che un adulto “sano” debba necessariamente riconoscere l’importanza di un Sé separato e indipendente, dimenticando però, in questo modo, che ci strutturiamo anche specchiandoci negli occhi delle persone attorno a noi…e che nel momento in cui tali sguardi non risultano amorevoli, il nostro modello operativo interno ne risente.

Essere “dipendenti”, non è di per sé una brutta cosa: gli studi più recenti, molti dei quali affondano le radici nella Teoria dell’Attaccamento, sottolineano infatti come non sia possibile essere “veramente indipendenti” se non siamo inseriti in un contesto relazionale di dipendenza “efficace“. Questo vale sia quando siamo bambini, che nelle relazioni adulte. Come direbbe Bowlby, infatti, l’attaccamento è una sorta di “codice di sopravvivenza della nostra specie“, parte integrante del comportamento umano “dalla culla alla tomba“.

Se in una relazione di coppia sentiamo di vivere un legame sufficientemente sicuro, in cui la persona al nostro fianco ci apprezza e ci supporta, sentiremo facilmente la possibilità di esplorare il mondo, di correre dei rischi, consapevoli che se andrà male avremo qualcuno che ci sosterrà, mentre se andrà bene festeggerà con noi. Questo è un tipo di “dipendenza” che aumenta l’autonomia e favorisce il benessere dell’individuo. 

Fin da bambini, impariamo strategie per ripristinare questa connessione emotiva quando sentiamo di perderla. La “disconnessione“, infatti, fa parte anch’essa delle relazioni umane e può raggiungere diversi gradi d’intensità. Nelle coppie, una situazione esemplificativa è quella del litigio/discussione, in cui, anche se si è certi dell’amore del partner nei nostri confronti, è probabile si attivi il nostro sistema di “panico/perdita”, per cui metteremo in atto le già citate strategie apprese con l’obiettivo di ritrovare un senso di sicurezza e rassicurazione. 

Tuttavia, queste strategie possono essere fraintese dall’altro, vissute ad esempio come attacchi, con il rischio di suscitare a loro volta delle reazioni che possono “incastrare” le coppie in circuiti disfunzionali con l’effetto di allontanarsi, anziché di suscitare con successo nell’altro reazioni che favoriscano il riavvicinarsi. 

Che nel mezzo di una lite ci ritroviamo ad “attaccare” («Ecco, lo vedi? Non mi hai mai capit*! Non ti interessa nulla di me!») o a “fuggire” («Me ne vado a fare un giro»/ chiusura nel silenzio), entrambe modalità che possono spaventare fortemente l’altro, è molto probabile che il timore che muove nel sottofondo sia il medesimo: quello del rifiuto e dell’abbandono.

La terapia di coppia può diventare un contesto sicuro in cui imparare a leggere queste modalità con le lenti dell’attaccamento, esplorandone le paure alla base e sperimentando insieme modi diversi di riconnettersi. 

“Connessione” è l’energia che esiste tra due persone 

quando si sentono comprese, ascoltate e valorizzate;

quando possono dare e ricevere senza giudizi,

e quando ricevono sostegno e forza dalla loro relazione

– Brené Brown

Nel link di seguito, un video che può aiutare a comprendere meglio il significato di connessione/disconnessione emotiva attraverso le parole della d.ssa Sue Johnson e del dr. Edward Tronick. Il video è in lingua originale sottotitolato in italiano, ma alcune sue parti (esperimento della “Still Face” ed estratto dalla seduta di coppia) sono perfettamente comprensibili anche senza traduzione. L’invito nel guardarle è infatti quello di soffermarsi soprattutto sui toni della voce, le espressioni dei volti e il linguaggio non verbale in generale, canale comunicativo molto forte quando si parla di aspetti emotivi.

Link: https://www.youtube.com/watch?v=mfPVcsRVGFU