
Io, il mio partner e la sua depressione
“Depression: Let’s talk” è lo slogan con cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2017 ha dedicato la Giornata Mondiale della Salute alla Depressione, occasione importante per evidenziare come sia un tema di cui ancora non si parla abbastanza o lo si fa in modo banale, spesso anche tra professionisti.
Inoltre, pur essendo uno dei disturbi mentali più frequenti ed invalidanti, talvolta non viene correttamente riconosciuto e non tutte le persone che ne soffrono hanno facile accesso a trattamenti adeguati, con conseguenze e costi altissimi sia a livello di salute individuale, sia a livello sociale (pensiamo ad esempio alle assenze lavorative) nonché famigliare e relazionale. L’impatto che questa patologia ha anche su chi vive insieme alla persona depressa può essere infatti molto forte e profondo, con ripercussioni importanti sulla propria vita, in particolare quando a soffrirne è uno dei membri della coppia: per sottolinearne tale impatto, è molto efficace la metafora usata da Willy Pasini che descrive come i partner “sani” spesso diventino “ostaggi della depressione dell’altro“.
La depressione è una malattia molto subdola in quanto non sempre i primi “segnali” sono chiaramente riconoscibili né per chi la vive né per il partner. Tuttavia nel corso di poco tempo si fa sempre più evidente che qualcosa nell’altro è cambiato: sembra che abbia perso interesse nel fare le cose che faceva prima e che erano fonte di piacere, ha meno voglia di parlare, tende ad evitare i momenti d’intimità e sembra si stia allontanando emotivamente. Aspetti di questo tipo, meno “riconoscibili” di sintomi vegetativi più comunemente associati alla depressione (perdita di peso, insonnia…), possono generare confusione ed equivoci, portando a pensare che l’altro sia solo stanco o, talvolta, che abbia dei segreti perché qualcosa non va nella relazione. A meno che la coppia non stia vivendo una situazione particolare (come, ad esempio, un lutto o la scoperta di una malattia organica importante), la percezione del cambiamento c’è ma difficilmente la si collega alla patologia depressiva.
Si può quindi iniziare – inconsapevolmente – ad entrarne nei meccanismi e diventarne “ostaggi”, ad esempio allontanandosi a propria volta oppure, all’opposto, cercando continue rassicurazioni nell’altro. Si può finire per cadere nella trappola della “rassegnazione”, accettando passivamente la situazione (“Non ci posso fare niente, è fatto/a così“) ma negando in tal modo la propria sofferenza. Non di rado, la “mancata guarigione” o il progredire/peggiorare dei sintomi – specie quando si è fatto di tutto per cercare di aiutare e sostenere il partner – può portare l’ “ostaggio” a sperimentare vissuti di frustrazione, fino ad esprimere sentimenti di forte accusa nei confronti dell’altro, colpevolizzandolo: frasi come “Sei tu che non vuoi guarire!“, dette con rabbia, non potranno però avere che l’effetto di aumentare la disistima e il senso di colpa da entrambe le parti.
Tuttavia, quello che forse è uno degli atteggiamenti paradossalmente più rischiosi, seppur nella buona fede, quando ci si trova a condividere la quotidianità con un partner depresso, è quello che potremmo definire “accudimento salvifico”, che spesso si fa forte in maniera totalizzante di idee quali “L’amore risolve ogni cosa” oppure “Io ti salverò “. È un occhiale che, se indossato per guardare l’altro e la situazione nel suo complesso, rischia di perdere di vista ciò che sta succedendo, negando e i propri limiti, oltre che la propria sofferenza, e distorcendo altresì la sofferenza del partner, che non potrà essere accolta e compresa se il tentativo sarà unicamente quello di “aggiustarla”.
Va ricordato che la depressione nelle relazioni di coppia ha grosse ripercussioni anche nell’area della sessualità. Basti pensare a come il desiderio sessuale si faccia meno, in generale, anche “solo” quando viviamo momenti di forte preoccupazione o tristezza “passeggera”.
La sessualità può essere considerata di per sé una sorta di “antidepressivo naturale” grazie al rilascio di endorfine tipico non solo del momento in cui si ha un rapporto, ma anche di quando ci si innamora. All’emergere di sintomi depressivi importanti, in maniera concomitante possono farsi strada disturbi sessuali quali calo del desiderio (correlato all’emotional blunting – appiattimento affettivo), disfunzione erettile/lubrificazione non sufficiente (con conseguente penetrazione potenzialmente dolorosa) o anorgasmia. Quando una coppia giunge in consulenza riportando (e quindi riconoscendo) una sintomatologia legata alla sfera sessuale, è quindi indispensabile che il professionista indaghi il tono dell’umore: tale sintomatologia potrebbe infatti parlare di un quadro più complesso e sottendere una depressione, per cui potrebbe risultare inefficace intervenire su questa sfera senza essersi prima presi cura del vissuto dei partner legato, appunto, alla depressione di uno di essi.
D’altro canto, bisogna ricordare che anche diversi farmaci antidepressivi comunemente usati sembra possano influenzare l’emergere di alcune disfunzioni sessuali (sebbene i meccanismi alla base non siano ancora completamente chiariti), per cui anche in questo caso è sempre importante capire bene che ruolo hanno e come eventualmente gestirli.
In estrema sintesi, vivere con un partner depresso può essere quindi un’esperienza molto complessa, in cui spesso s’intreccia il desiderio di svolgere un importante ruolo di sostegno con sentimenti d’inadeguatezza, colpa, talvolta di rabbia e frustrazione…e questo è tanto più normale, seppur faticoso, quanto più si sostiene una situazione del genere per lo più da soli e per molto tempo. La depressione è una patologia che fagocita, troppo grande per poter essere affrontata da soli, senza l’aiuto di un professionista. E’ un limite spesso difficile da riconoscere e accettare, ma un passo importante per essere efficaci nell’aiutare sia il partner che se stessi, qualora ce ne fosse bisogno. Talvolta, come viene ben sottolineato nell’articolo di approfondimento al link in calce, si rivela infatti utile l’aiuto di un terzo esperto per fare ordine e imparare a distinguere il partner dalla malattia, capendo come stargli vicino senza farsi travolgere o assumendo in toto il ruolo di salvatori, ma comunicandogli efficacemente che il suo dolore è da noi visto, riconosciuto e rispettato.
Poiché, come si è detto, spesso i “segnali” della depressione non vengono ben riconosciuti, si riportano nella sezione link anche due brevi ma efficaci video che fanno parte della sempre attuale campagna di sensibilizzazione sulla depressione dell’OMS. In questi filmati viene utilizzata la metafora del “Black Dog” e sono stati realizzati dallo scrittore e illustratore Matthew Johnstone. Nel primo video (sottotitolato in italiano) “Avevo un cane nero, il suo nome era depressione“, viene narrata la storia di una persona che vive la depressione e pian piano impara come superarla e convivere con questo cane nero; il secondo video (purtroppo non sottotitolato ma le cui immagini sono molto suggestive e comprensibili) s’intitola invece “Vivere con un cane nero” e si rivolge alle persone che vivono vicino a chi soffre di depressione.
Link:
“Avevo un cane nero, il suo nome era depressione” https://www.youtube.com/watch?v=XiCrniLQGYc
“Vivere con un cane nero”