Le sfumature del desiderio

Il significato etimologico della parola “desiderio” rimanda ad un’immagine molto evocativa: dal latino de- sidus (stella), letteralmente sta ad indicare la sensazione data dall’avvertire la “mancanza delle stelle“, quei segni luminosi nel cielo che tanto erano presi a riferimento per ricercare buoni presagi nei tempi più antichi.

Citando Recalcati, possiamo dire che:

Il desiderio, insomma, è un’esperienza di una mancanza, di una debolezza.

Ma è anche – ed è qui il suo paradosso – un’esperienza di forza:

la forza di una spinta che mi sovrasta e mi supera.

Il desiderio è, allo stesso tempo, mio e mi porta al di là di me stesso.”

In particolare, il desiderio sessuale sembra essere uno degli aspetti più sfuggenti della sessualità umana e risulta difficile dare, in poche sintetiche righe, una definizione esaustiva di un sentire umano tanto soggettivo, mutevole e sfaccettato. Noto anche come “libido”, può essere considerato come la “risultante della somma delle forze che ci portano verso il comportamento sessuale o ce ne allontanano” (Levine, 2003). 

Forte del substrato biologico che lo caratterizza, si può dire che il desiderio sessuale sia uno dei motori fondamentali che garantisce la sopravvivenza della specie umana nel mondo; sarebbe tuttavia riduttivo ricondurre questo a soli meccanismi ormonali e biochimici: affonda infatti le sue radici non solo in componenti biologiche, ma anche psico-affettive e relazionali, le quali spesso s’intrecciano reciprocamente. Il desiderio sessuale cambia, infatti, sia da persona a persona, che nella stessa persona a seconda dell’età, di fattori psicologici interni (emozioni, fantasie), delle esperienze passate, degli stimoli che riceve, della relazione in cui si trova, fino addirittura a seconda di ciò che l’epoca storica o la cultura di appartenenza considera “lecito” sentire ed esprimere. A questo proposito, basta pensare che per molto tempo nella cultura occidentale il desiderio sessuale è stato principalmente ad appannaggio dell’uomo, che decideva quando e come avere un rapporto, mentre dalle donne ci si aspettava fossero disponibili ad assecondare il partner e che non fossero loro a ricercare o rifiutare il piacere di un rapporto sessuale (Pasini, 1999), condotte che, da parte loro, sarebbero potute risultare persino sconvenienti. Di contro, oggi viviamo in un’epoca storica in cui spesso si tende a dare per scontato che il desiderio sessuale sia correlato al piacere, diritto sia del maschile che del femminile. Talvolta si rischia anche di far diventare la ricerca del piacere quasi come un dovere, con precise caratteristiche: in rete e sulle riviste è facile trovare articoli che descrivono cosa bisognerebbe provare “sotto le lenzuola”, sottolineando che il piacere dovrebbe essere intenso e portando avanti idee legate a canoni di efficienza e focalizzati sulla performance a scapito di altri aspetti importanti, come quelli relazionali. Questa attenzione a volte eccessiva alla performance (e al livello elevato proposto come standard), può però suscitare, ad esempio, sentimenti d’inadeguatezza, ansia da prestazione e timore del giudizio che possono concorrere a far vivere quelli che in gergo clinico vengono identificati come disturbi del desiderio sessuale

Da un punto di vista storico, si tratta di problematiche che hanno iniziato ad emergere ed essere individuate in un passato relativamente recente, che – senza la pretesa di esaurire in questa sede un adeguato excursus – trovano origine nel momento in cui il “piacere femminile” è stato maggiormente riconosciuto: l’espressione dei problemi relativi al desiderio è in quel momento diventato “lecito” per le donne. 

La prima a formulare una concettualizzazione del desiderio sessuale come fase specifica a sé stante del ciclo di risposta sessuale fu H.S. Kaplan negli anni Settanta, definendolo come quel “necessario appetito” funzionale ad attivare l’innesco dell’attività sessuale. 

Nel tempo, si sono susseguiti altri diversi modelli di concettualizzazione, ma forse quello che vale la pena ricordare è il contributo di Rosemary Basson (primi anni 2000), la quale sottolineò – in particolare nella donna – la distinzione fra desiderio “pulsionale”  e desiderio “responsivo”: nel primo caso, l’attività sessuale prende avvio appunto da un desiderio pulsionale spontaneo, mentre nel secondo caso può essere conseguenza di sensazioni legate all’intimità emotiva o ad un’adeguata stimolazione sessuale attuata dal partner. Questa distinzione è utile sia a normalizzare vissuti tipici di molte persone, più “responsive” che “pulsionali” nel funzionamento, sia nella pratica clinica per fare, ad esempio, diagnosi di disturbo da desiderio sessuale ipoattivo: in questo caso, devono infatti essere assenti sia il desiderio pulsionale che quello responsivo. 

E’importante, inoltre, non confondere il basso desiderio sessuale con l’avversione sessuale: se nel basso desiderio un’eventuale esperienza col partner non risulta emozionalmente spiacevole, quando si parla di avversione la persona sperimenta invece emozioni spiacevoli (paura, rabbia, disgusto) quando intrattiene un’attività sessuale col partner (o anche solo quando ci pensa).

Le persone che chiedono una consulenza sessuale in tema di “disturbi del desiderio” spesso lo fanno perché vivono un’”asimmetria” importante rispetto al partner: uno dei due, generalmente, ha un desiderio più alto o più basso dell’altro, aspetto che può avere ripercussioni sulla qualità della relazione e portare a scontri sul tema. Oltre alla sessualità intesa in senso stretto, in queste situazioni viene spesso intaccata anche la sfera dell’affettività: possono pian piano arrivare a sparire i momenti di “coccola” e lo scambio di tenerezze, in quanto il partner con meno desiderio può trarre piacere anche “solo” da baci, carezze e abbracci, ma può smettere di farle per paura che l’altr* le interpreti come la volontà d’iniziare, in questo modo, un’attività sessuale. Si tratta spesso quindi di problematiche di coppia che causano difficoltà ed una quota di sofferenza ad entrambi i partner (per il partner con desiderio più alto, una problematica correlata è, ad esempio, la gestione dei continui rifiuti). Qualsiasi sia l’origine del problema, sarebbe sempre auspicabile e utile quindiche entrambi si mettessero in gioco per essere, insieme, parte della soluzione.

Un’importante “nota a pié di pagina”: nonostante a livello socio-culturale si tenda per lo più a pensare il desiderio sessuale ipoattivo come una problematica “tipicamente femminile”, negli ultimi anni l’esperienza clinica ha mostrato un interessante incremento di richieste maschili a tal proposito. Benché la letteratura sul tema non sia ancora ricca e consolidata, nel link di seguito si può trovare una breve panoramica a riguardo, di facile comprensione anche ai “non addetti ai lavori”.

Bibliografia

Basson R. (2003), Women’s desire deficiencies and avoidance. In Levine S.B, Risen C.B. & AlthofL. (eds) Handbook of clinical sexuality for mental health professionals, pp. 111-130, New York, Brunner/Routledge

Graziottin A. (2004), Nuove acquisizioni sulla fisiopatologia del desiderio sessuale,
in Leiblum S.R., Rosen R.C., Principi e pratica di terapia sessuale, Ed. italiana a cura di GraziottinA., CIC Edizioni Internazionali, Roma, 

Levine S.B. (2003,) The nature of sexual desire, Archives of Sexual Behavior, 32 (3),279-285

Orrico C. (2020), I disturbi del desiderio sessuale, in Bernorio R. et al., L’approccio diagnostico in sessuologia, Franco Angeli, Mi

Pasini W. (1999), Desiderare il desiderio, Mondadori, Mi

Recalcati M. (2018), Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina, Mi

Link:  https://sessuologiaclinicaroma.it/gli-uomini-pensano-sempre-al-sesso-o-no-il-disturbo-del-desiderio-sessuale-ipoattivo-maschile/