
Parole dal corpo: Training autogeno per donne operate al seno
Quando un tumore si presenta “senza bussare alla porta” (Burrone, Maccarini 1993) improvvisamente crea una frattura nel senso di continuità dell’esperienza di sé (Lanfranchi, Pagliaro, 2002): da “sani” si diventa “malati”, cambiano le priorità ed il futuro diventa incerto.
La diagnosi di neoplasia maligna è infatti un momento della vita che apre un varco al pensiero della morte e “fa uscire il corpo dal silenzio” (Tromellini, 2002), rendendolo portatore di nuovi linguaggi e significati. Lo scenario si complica maggiormente quando la malattia neoplastica va a colpire quelle parti del corpo che contribuiscono a definire l’identità di genere: ne è un esempio il seno, uno dei caratteri primari della morfologia sessuale che porta a riconoscersi come femmine e come donne. Il carcinoma mammario, oltre al timore per la propria vita, spesso mette infatti a repentaglio l’intera identità della donna, diffondendo un eco che risuona non solo nell’aspetto esteriore ma anche nei ruoli sociali (compromettendo talvolta, ad esempio, importanti funzioni biologiche come quella riproduttiva). È quindi una situazione in cui si trova coinvolto tanto il corpo somatico quanto quello semiotico.
Sebbene negli ultimi anni gli interventi a carattere demolitivo siano stati in buona parte sostituiti da quelli più conservativi (soprattutto grazie alla diffusione della cultura della diagnosi precoce), le alterazioni nell’aspetto fisico dovute all’intervento e/o alle terapie successive sono spesso ancora vissute come uno stigma rispetto all’ambiente sociale; il significato che tali modificazioni rivestono non è, quindi, solo un modo di pensare, ma può diventare un modo di sentire e di narrarsi dominante, permeato da un senso d’impossibilità a ricostruire una buona immagine della propria identità corporea.
Il corpo è l’unico mezzo che io ho di andare al cuore delle cose.
– M. Merleau Ponty
La scoperta (o ri-scoperta) di forme di sentire maggiormente connesse a significati di salute e benessere può, talvolta, essere favorita dalle tecniche a mediazione corporea, metodologie proposte sempre più di frequente in ambito oncologico anche grazie alla loro riconosciuta utilità nel campo di gestione del dolore, dell’ansia e dei disturbi umorali, nel controllo degli effetti collaterali della chemioterapia e nell’emergere di un senso di controllo sulla malattia stessa.
Tra queste figura il Training Autogeno, che trova in Heinrich Schultz il suo creatore (per un maggiore approfondimento sulla tecnica, si rimanda al link in calce all’articolo).
Schultz sottolinea come, nello stretto legame tra biologico e psichico, il corpo influisca sulla mente e viceversa; pare tuttavia si tendi ad essere più consapevoli di tali collegamenti soprattutto quando si sta male (è il caso, per portare un semplice esempio, di quando un esame considerato importante può essere preceduto da forti mal di testa o dolori a livello gastro-intestinale). Il modello proposto da Shultz prevede quindi di sfruttare con maggior consapevolezza la reciproca influenza mente-corpo, ma in termini di benessere.
Il TA è una tecnica che sfrutta le potenzialità della concentrazione mentale di modificare alcuni parametri sia fisiologici che psichici: si fonda infatti sul principio dell’ideoplasia, ossia la capacità di un elemento ideativo (immagini, pensieri) di produrre modificazioni somatiche, principio di cui ci possiamo rendere conto quando ci emozioniamo grazie alle parole di un libro, o quando i battiti del cuore accelerano durante la visione di un film dell’orrore. È una tecnica che permette una sorta di ristrutturazione personale a livello senso percettivo, un recupero della propria corporeità grazie ad una concentrazione sul corpo legata ad una maggiore consapevolezza del rapporto che si ha con esso (Farné, Sebellico, 1981).
Inserito nel lavoro psicoterapico con le donne operate al seno, il TA da tecnica di rilassamento psicofisico può, in alcuni casi, diventare altresì un’importante strategia su base semeiotica che, a partire dal corpo quale mezzo semantico, permette di conoscere se stesse in una modalità diversa, dilatando le possibilità di sperimentare nuovi stati di coscienza e configurare nuove rappresentazioni di sé capaci di tradursi, poi, in una riorganizzazione del tessuto narrativo con cui raccontarsi.
Può inoltre contribuire a restituire il “senso della possibilità“, eliminando la posizione dogmatica secondo cui “io sono la mia malattia”, attraverso l’organizzazione – insieme al terapeuta – di una conversazione che rompa la coerenza narrativa ed implichi che il problema sia altro da se stesse. Così facendo, è possibile ripristinare lo spazio tra il modo della persona di raccontarsi e quello di descrivere la patologia; questo grazie, in particolare, ad uno spostamento dell’attenzione dalla parte ferita ad una riscoperta e presa di consapevolezza che si è anche molto altro, ristrutturando il ruolo giocato dal seno all’interno di un “contesto-corpo” più ampio.
Infine, poiché la tecnica prevede un allenamento costante che punta sulle risorse personali, è favorita una rappresentazione di sé da pazienti malate, oggetto di cura, ad agenti di cambiamento, protagoniste di una parte dei propri miglioramenti, impegnate nel prendersi cura di se stesse e della propria salute. È favorito, infatti, un atteggiamento mentale più attivo nei confronti della propria esperienza di malattia e del trattamento (Lanfranchi, Pagliaro, 2002), spostando l’accento da “ciò che manca” a “ciò che c’è”, da una condizione cristallizzata e statica, ad una più dinamica e che lascia spazio alla vita.
Bibliografia
Burrone A., Maccarini G. (1993), Il gusto di vivere, Mondadori, Milano.
Farné M., Sebellico A. (1981), Stress e distensione. Le prospettive terapeutiche del Training Autogeno, Psicologia Contemporanea, 44, 41-46.
Hoffman B.H. (1980), Manuale di Training Autogeno, Astrolabio, Roma.
Lanfranchi C., Pagliaro G. (2002), Gli interventi psicologici e la qualità della vita del paziente oncologico, in Salvini A., Galieni N. (a cura di), Diversità, devianze e terapie. Strumenti, ricerche e interventi in psicologia clinica, Upsel Domeneghini, Padova, pp.363-380.
Tromellini C. (2002), L’adulto, in Amadori D. et al (a cura di), Psiconcologia, Masson, Milano.
Link
https://www.stateofmind.it/tag/training-autogeno/